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LANGIOTTI, DAL CALCIO ALL’ARTE DEL “BARBER” MODERNO

C’è chi si modifica interiormente e chi cambia fisicamente. Anche in modo assai rilevante. Per cui ti ritrovi ad osservare una foto di un giovane signore con una barba foltissima e quasi non ci riconosci quel ragazzo che passò – come tanti altri – quasi in silenzio nella storia gialloblu.

Come Andrea Langiotti, che cercò, qualche anno più tardi, di indossare la stessa maglia di Gazzi. Probabilmente non avrebbe lasciato alcuna traccia se non ci fosse stata quella gara tra Viterbese e Teramo nel 2008. Anche Langiotti – come Gazzi – era uno che si sentiva poco. Aveva pure avuto poche occasioni di giocare, in quella stagione maledetta, in cui la squadra gialloblu abbandonò dopo tanti anni la serie C, sprofondando in un lungo purgatorio, “abbracciando” malvolentieri insuccessi tecnici e societari.

L’allenatore era Rambaudi, che non riuscì a salvarsi pur possedendo giocatori di un certo valore come Fimiani, Zazzetta, Pollini, Ingiosi, Mannucci, Manni, Lolli, Costanzo e Agodirin. In quell’organico erano anche presenti, però, alcuni ragazzi che davvero difficilmente oggi qualcuno riesce a ricordare. Chi rammenta – infatti – Vivan, o Gronchi? Oppure Armento e Marmorini?

Langiotti – di scuola Lazio – avrebbe rischiato la stessa sorte, senza quella gara in cui entrò a dieci minuti dalla fine a sostituire Mannucci, l’Attore, o Cavallo Pazzo, uno dei due nomignoli affibbiatigli durante la sua lunga militanza come calciatore, prima di intraprendere la strada del procuratore e scopritore di giovani talenti.

Quando mancano pochi secondi alle fine, infatti, Langiotti si rende autore di una grande giocata: dal preciso cross dalla destra di Zazzetta sfodera una mezza girata al volo di sinistro che non lascia scampo a tale Nordi, portiere abruzzese, il quale  capitola anche un minuto più tardi, dopo un contropiede di Agodirin,  che dà a Langiotti, per la sua doppietta, per la sua “festa” personale che diventa clamorosa.

Quella fu l’ultima sfida alla Palazzina tra le due squadre. Bisognerà aspettare quasi dieci anni per vederne un’altra – ma di Coppa Italia. Tutta un’altra epoca e stavolta i protagonisti sono soprattutto quelli dei calci di rigori finali, che qualificano la squadra gialloblù. Il portiere Pini, prima di tutto, poi Musacci e Vandeputte, i giocatori che non hanno sbagliato dal dischetto.

Ci fosse stato ancora Langiotti avrebbe probabilmente calciato anche lui dagli undici metri.

Come aveva fatto spesso da ragazzo, quando giovava nelle giovanili della Lazio, per cinque anni,  alla ricerca di uno spazio tutto suo in una squadra Primavera ricca di “talentini”.

Era stato scovato da Volfango Patarca, scomparso qualche mese fa, in uno stage estivo a Monteporzio, facendo tutta la classica trafila nel settore giovanile biancoceleste. Veloce e agile, con un fiuto del gol fuori dal comune, aveva conosciuto proprio alla Lazio l’allenatore Rambaudi, che lo volle portare a Viterbo, in una stagione sfortunata, però, per una Viterbese che veniva sbeffeggiata spesso dagli avversari.

L’exploit con il Teramo illuse un po’, fece credere che – forse – la salvezza sarebbe potuta essere raggiunta, sperando, magari, di vincere ancora in un modo così semplice, come era accaduto contro gli Abruzzesi.

Non andò così e anche per Langiotti iniziò un girovagare per le altre squadre della regione, ma forse pochi potevano pensare che si sarebbe, nel frattempo, inventata una attività per quando avrebbe smesso con il pallone.

Davvero – oggi – è difficile riconoscere in quel giovane manager di  una avviata barberia, il calciatore di dieci anni prima.

Andrea Langiotti, quasi nascosto dietro l’attuale barbone, ispira fiducia mentre realizza il taglio dei capelli, accurato, all’ultima moda.

Merita una nota a parte, un voto in pagella alto, come quando giocava al calcio. Aveva, probabilmente, sognato il professionismo nel calcio. Ora, però, ha imparato un’arte, che con maestria conduce in modo eccellente e che gli regalerà grandi soddisfazioni visto che rappresenta un modello ed uno stile.

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