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CALLONI, CHE BRERA CHIAMO’ “SCIAGURATO” EGIDIO!

Egidio Calloni, nato a Busto Arsizio l’1 dicembre 1952, vive a Verbania e ancora fatica a liberarsi della scomoda fama di mangia-gol che si era costruito nei quattro anni passati al Milan (dal ’74 al ’78). Colpa di alcuni errori vistosi, ma soprattutto di quel nome, Egidio, che è stata la sua involontaria condanna. Se si fosse chiamato Giovanni o Giuseppe, anche i suoi errori davanti alla porta sarebbero apparsi veniali, come quelli di tutti i centravanti del mondo. Arrivato dal Varese nell’estate ’74 con grandi aspettative (16 reti), mancino naturale, Calloni non è un centravanti improduttivo: undici gol al primo anno, tredici al secondo, cinque al terzo (ma arriva la Coppa Italia), due al quarto.

Ai primi errori, Gianni Brera ha una trovata geniale e battezza Calloni «lo sciagurato Egidio», con perfida citazione manzoniana. Che segna in modo indelebile la carriera di Calloni, al punto che un celebre e fantasioso giornalista, Beppe Viola, dirà in telecronaca, per spiegare un gol mancato: «Il centravanti del Milan sventa la minaccia». Consumerà la sua vendetta nei confronti del Milan il 29 marzo ’81 (in B), quando il Palermo, la sua nuova squadra, riceve il Milan: l’ allenatore, Veneranda, è stato appena esonerato; il nuovo non c’ è ancora; la squadra è affidata al diesse Favalli. Il Palermo vince: 3-1 e Calloni firma una tripletta.

E’ vero“, spiega Egidio. “Ero un giocatore normale e mi capitava di “ciabattare” sotto porta. Ma anche i grossi bomber di oggi sbagliano: il fuoriclasse commette meno errori, pero’ anche a lui talvolta gira storta. Purtroppo, al Milan in quattro anni vincemmo solo una coppa Italia…“.

Nel 1978-79 viene ceduto al Verona.
Una partita che non dimentico è Juventus-Verona, seconda del campionato 1978-79. Al Comunale di Torino. Segno due gol: il primo, su azione, e il secondo, su rigore. In mezzo, però, la Juve ce ne fa sei: doppiette di Virdis e Bettega, gol di Causio e Benetti. Finale: 6-2. Noi del Verona non eravamo male, ma la verità è che eravamo partiti proprio male e dopo un terzo di campionato eravamo già retrocessi“.

Penso raramente ai miei anni da calciatore. Ma ricordo i miei allenatori e a tutti sento di dover dire grazie. Grazie a Maroso, il mio allenatore nelle giovanili del Varese e con cui conquistai la serie A. Grazie a Marchioro, che ha creduto in me in serie C. E a Giagnoni, che mi volle al Milan. E a Liedholm, per avermi regalato la sua tranquillità quando ne avevo bisogno. E a Rocco, per avermi contagiato con la sua allegria, che non mi ha più lasciato. E a Trapattoni, che si fermava dopo l’allenamento, si metteva sulla destra, e poi sulla sinistra, e mi faceva cross per mezz’ora, e io dovevo buttarla dentro di testa, destro, sinistro, al volo. «Non si finisce mai di imparare» mi ripeteva. Ce n’era sì da imparare. E tanto. Giocare con Rivera era il massimo, spesso ti metteva la palla lì al bacio. Però era anche una bella responsabilità. Perché io sbagliavo e lui mai. Giocare con Chiarugi era ancora più bello: un trottolino che ti metteva a tu per tu con l’ avversario. Ed è stato bello anche giocare in coppia con Libera: insieme, nel Varese, eravamo un incubo per gli avversari. Ricordo che c’ erano i campi che mi portavano bene e quelli che non mi portavano bene. A Firenze e all’Olimpico andavo alla grande. Al San Paolo e al Comunale di Torino al minimo. E allora, in quei casi, ci si attacca anche a delle stupidaggini pur di trovare un po’ di forza: comportarsi in un certo modo, sempre allo stesso modo“.

Ricordo di aver sbagliato un po’ di gol, ma pazienza, non lo facevo mica apposta. Un giorno mi mangiai un gol e Beppe Viola, in tv, disse: «Calloni sventa la minaccia». Viola la pensava come me: il calcio è fatto per divertire e divertirsi“.

 

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