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IL SANO E VECCHIO CALCIO VISTO DA MASSIMO ONOFRI

Il calcio viterbese rivissuto con la maturità dell’ex ragazzo che vedeva all’opera i bravi “baffuti” giocatori di una volta. Una Viterbese per ogni decennio, per tutti i gusti, per tutte le generazioni. Per un calcio che, insieme ad essa, si è trasformato inesorabilmente nel tempo.

Dalla vecchia Palazzina, appena ricoperta di verde, su cui sfrecciarono gli uomini che fecero volare la Viterbese in serie C, quelli che si fermavano al bar di fronte allo stadio a giocare a biliardo, che scherzavano con i giovani cronisti, che erano felici di stabilire contatti umani – e d’amicizia – con le persone che le circondavano.   

L’affermatissimo – quanto tifoso gialloblu –  scrittore Massimo Onofri.

“Chi mancasse da Viterbo più o meno a lungo, per le ragioni più diverse, e volesse salutarlo, saprebbe comunque dove trovarlo, almeno due volte al mese e di primissimo pomeriggio, soltanto però se il campionato è già iniziato. Claudio è sempre lì, nella sala stampa che s’affaccia sul manto verde e sempre affaticato del Rocchi: cronista, testimone e persino reporter. In quella sala stampa, immancabilmente, al rintocco dell’intervallo tra il primo e secondo tempo, vado anche io: e non solo per sfuggire, quando inverna, al morso della tramontana, almeno per quel quarto d’ora. Ci vado per fare due confortanti chiacchiere con tutti gli amici e le amiche che stanno preparando, per l’indomani, il croccante articolo che sfami per un giorno, il goloso lunedì delle classifiche, la fame atavica di noi tifosi. Non c’è bisogno nemmeno di dirlo: la cucina di Claudio è sempre tra le migliori e tra le più attrezzate.

In tutti questi anni, durate quella fatidica pausa, ho conosciuto tutte le gradazioni dell’umore di Claudio, ogni volta dettato da ciò che era accaduto in campo nel primo tempo: divertimento, entusiasmo, euforia, ma anche delusione, disincanto, persino depressione. Umore – è proprio il caso di dirlo – che è sempre il risultato di una memoria ogni volta pronta a farsi storia e a tradursi in piccola e tenace leggenda da campanile, il nostro di viterbesi che, non dimentichiamolo, cammina per davvero ogni 3 settembre lungo le vie anche più strette della città, con in cima la sua minuta e tenace santa, al passo di cento facchini. Perché ricordo Rosa e la celeberrima Macchina che stupisce il mondo? Perché noi viterbesi, grazie a colei che fu in grado di respingere Federico l’imperatore fuori le porte della città, siamo assai più bravi di un rodomonte ad allestire e sollevare le nostre leggende. Quando, ovviamente, si ha un po’ della stoffa dell’aedo, del brado: e Claudio di sicuro ce l’ha.”

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