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RAGA E “BARABBA”, GLI IDOLI PER I RAGAZZI DI UN TEMPO …

Raga e Barabba. Chi “non sogna” la pallacanestro, soprattutto quella di un tempo, difficilmente accosterebbe questo sport ad un atleta messicano. Il primo pensiero corre agli Americani, poi, probabilmente, ai Russi, forse agli Jugoslavi. Invece uno dei primi grandi campioni giunti dall’estero in Italia, capace di catalizzare la nostra attenzione, fu proprio un Messicano. Fu ingaggiato dall’Ignis Varese nel ‘68 e vinse tre scudetti e tre coppe dei campioni. Fu uno dei pilastri di quella magnifica squadra, che ha scritto la storia del basket italiano ed europeo. Era alto soltanto centottanta centimetri, ma possedeva una elevazione eccezionale, che lo rendeva unico in quel panorama, capace di giganteggiare tra i giganti.

Il ”messicano volante“ accettò anche, con grande senso di umiltà, con l’arrivo di Bob Morse, il ruolo di straniero di Coppa, visto che in quella competizione era possibile schierare due giocatori provenienti dall’estero. Il suo grande amico di Varese era Giorgio Consonni, uno che giocava poco. Buon amico era anche Ossola, che gli elargiva palloni per andare in elevazione e bucare la retina. L’unico che aveva le gambe per resistergli un pò era Giomo, della Simmenthal di Milano. La pallacanestro italiana lo aveva scoperto ai Mondiali di Montevideo. Era 1967 e Raga travolse gli Azzurri segnando più di trenta punti. Ora Vive in Messico e, a quasi ottanta anni, si diverte ancora ad insegnare basket ai ragazzini di lì, quelli più poveri, soprattutto. Vive a Ciudad Victoria con la nuova moglie, ex pallavolista cubana, e la palestra dove allena ha un murales all’esterno con il suo nome e con tutti i suoi trofei.

Uno dei più forti cestisti italiani, invece, nasce, in realtà, come corridore di ciclismo. A poco più di dieci anni lo fece salire in sella il fratello Vendramino Bariviera, detto Mino. Dodici anni più vecchio, era il suo idolo, che vinse sei tappe al Giro d’Italia, oltre alla Milano-Vignola e alla Coppa Placci.  “Barabba” corse per un paio di anni, ma era troppo alto per il ciclismo e quando arrivò all’altezza definitiva non c’erano biciclette per corridori così alti. Seguiva il fratello alle corse, gli faceva un po’ da meccanico e – se serviva – anche da massaggiatore. Per Renzino fu una grande emozione vederlo correre alle Olimpiadi di Roma. Provò con l’atletica e si ritrovò in palestra, dove, per puro divertimento, faceva le schiacciate al canestro. Lo videro i dirigenti del Padova e lo misero subito sotto contratto: iniziò così la sua carriera nella pallacanestro. Una grande carriera, con titoli e canestri a ripetizione, con ganci e schiacciate, come solo lui – e pochi altri – sapeva fare in quel periodo. E’ stato pure l’artefice della prima – storica – vittoria della nazionale italiana sugli Usa, ai mondiali 1970, grazie al suo canestro, un gancio, proprio all’ultimo secondo.  

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