AmarcordIl Pallone

“EL CISCO”, IL TIRO FORTE COME RIVA, UN CAMPIONATO VINTO SULLA PANCHINA GIALLOBLU

Nel ’66 iniziava la parabola di calciatore un Argentino, un trequartista, conosciuto con i soprannomi di “Cisco” e di “Toro di Baires”, che ha vestito le casacche di Fiorentina e Roma con notevole successo. A Firenze, forse, rispettò un po’ meno i pronostici, rispetto all’amore della gente romana, i tifosi giallorossi che lo videro, con la casacca della squadra capitolina, vincere solamente una Coppa delle Fiere nel Sessantuno. Lojacono, scomparso in età anche giovanile, nella “sua” Palombara, da lui adottata, dopo aver trascorso gli anni ruggenti della sua carriera – e della sua vita – nella Capitale.

Lojacono un campionato lo vinse, ma da allenatore, sulla panchina della Viterbese. Aveva già un aspetto meno giovanile rispetto a quei momenti passati a Via Veneto, dove dribblare i paparazzi era più difficile che superare i difensori la domenica. Francisco “Cisco” Lojacono, vincitore di un campionato di Promozione sulla panchina della V iterbese, che giocava bene anche se rientrava la mattina alle cinque, come hanno sempre raccontando i suoi compagni di squadra di allora e confermato anche da lui. Aveva legato molto con Rascel, Cervi, soprattutto Chiari, che gli piaceva perché era anche bravino col pallone. Erano soprattutto le donne, però, a solleticare la voglia di mettersi in mostra del “Cisco”, come Anna Magnani, a cui volle insegnare a ballare il tango. Non abbiamo mai capito bene se quel Lojacono quasi addormentato sulla panchina, in un pomeriggio di un turno di campionato di Promozione, a Trevignano, fosse lo stesso che aveva affascinato i tifosi dell’Olimpico o alcune donne tra le più belle d’Italia, come, ad esempio, Claudia Mori.

Chissà come sarebbe stato trattato dal calcio di internet, che lui, invece, non ha vissuto né da giocatore. Robusto, solido e battagliero, esordì giovanissimo nel San Lorenzo de Almagro, per essere poi ceduto in prestito al Gimnasia per due anni, prima di approdare in quell’Italia che non abbandonerà più. L’uomo, invece, cambiò molto, diventò umile, generoso, riconoscente, anche a Viterbo, dove si rendeva sempre disponibile nei confronti dei cronisti, senza mai una parola fuori posto. Forse appariva, come detto, un po’ stanco, sicuramente più di quando scendeva in campo per gli allenamenti, in calzoncini, col collo taurino e i quadricipiti enormi, con quelle cannonate che tirava in porta con una potenza che solo Gigi Riva sapeva eguagliare. In allenamento si divertiva a mettere due asciugamani sull’incrocio dei pali e continuava a farci andare a sbattere il palone, tra i sorrisi dei compagni di squadra. E sì, perché il calcio era anche allegria, spensieratezza, e non soltanto tensione a tutte latitudini. Anche guidando i più giovani della Viterbese di totale immersione nel calcio argentino, che li voleva da tutte le parti, da Sivori a Montez, da Cancela a Lojacono, a Rubini, Labrozzi e tutti gli altri che cercarono fortuna, che regalarono divertimento con il pallone. Un divertimento che gli Argentini, a vari livelli, hanno sempre saputo garantire. Da Victor D’Agostino a Sebastian Gay, che ha girovagato per i campi del Lazio, raccogliendo sicuramente meno di quanto la sua bravura facesse presagire. Poi senza aspettare di spegnersi fino all’età dell’abbandono, ha fatto una scelta di vita ed è tornato in patria, dove vive felice con la famiglia, con le sue figlie, almeno da quanto si può evincere dalle tante foto pubblicate sul suo social che, quello sì, attraversa l’oceano all’istante, come tutto ciò che la tecnologia ha creato per il mondo del pallone due punto zero.

 

 

 

 

 

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