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“PROFONDO AZZURRO”. LA NAZIONALE DEL ’68 E IL SUO “MONDO EUROPEO”

Era la “nazionale del coraggio”, come titolò il Corriere dello Sport, quella di Mazzola “ingegnere del futuro”, tra i vessilli di una “generazione gagliarda”. Era l’Europeo di Roma, che ventidue anni più tardi visse le “notti magiche” del Mondiale italico, quello cantato da Gianna Nannini e Eugenio Bennato, quello degli occhi “spiritati” di un altro compianto come Totò Schillaci.

Era il calcio in tv, che poi si emancipò, pian piano, arrivando al rivoluzionario colore e alla vera e propria “sbornia” odierna, con una miriade di telecamere, effetti speciali e moviola in campo, come l’aveva invocata per anni Aldo Biscardi, l’inventore del talk show calcistico, scomparso senza vedere la concretizzazione del suo sogno, del suo cavallo di battaglia.

Era anche l’Europeo di Gigi Riva, che un anno prima, sempre in Nazionale, contro il Portogallo, si era rotto una gamba in uno scontro con il portiere avversario. Non aveva giocato la prima finale – oltre ai quarti e gli ottavi – ancora una volta alle prese con i postumi di un infortunio, ma Valcareggi, anche contro il parere dei medici, lo mise in campo dal primo minuto. E dopo dodici minuti arrivò  il gol, di sinistro – chiaramente – dal centro dell’area, dopo un’azione di Mazzola e De Sisti.  

Dopo le vacanze e il giusto riposo – ripartito il campionato italiano con lo scudetto sul petto dei giocatori del Cagliari – c’è la prima amichevole azzurra, in Autunno, fortemente impregnata della squadra cagliaritana. Contro la Svizzera vengono messi in campo addirittura sette elementi provenienti dall’isola. Qualcosa di storico, che rimarrà unico, che non verrà più neanche lontanamente  immaginato. Ci fu spazio anche per il compianto centravanti Bobo Gori  e il “tridente” con Riva e Domenghini fu proposto pure al suono dell’inno di Mameli.

Solo quattro mesi più tardi, però, accadde qualcosa di ugualmente clamoroso, quanto incomprensibile. L’amichevole contro la Spagna si gioca proprio a Cagliari e sembrerebbe l’occasione giusta per una sorta di celebrazione dello scudetto su uno scenario azzurro. Ed invece neanche un giocatore del Cagliari venne  schierato, un evento che indispettì tantissimo il caldo pubblico sardo. Un evento che venne preso come una sorta di offesa, come una enorme ingiustizia. Qualcuno pensò anche ad uno scherzo, ma poi con dopo il calcio d’inizio, il pubblico capì che era tutto vero e cominciò a fischiare in modo forsennato e continuo la Nazionale, che uscì sconfitta. Non fu bello, ma nessuno criticò più di tanto l’accaduto, il frutto di una decisione impensabile quanto sbagliata.

Era febbraio del Settantuno, l’Italia – quella di tutti, non solo dei calciatori – era felice, solo un po’ turbata dagli sviluppi  dei “primi vagiti di un ’68 ancora lungo da venire e troppo breve da dimenticare”, come cantava Antonello Venditti. Tutto sembrava diventare azzurro – in Italia – e non poteva non essere la canzone più ascoltata proprio “Azzurro” di Adriano Celentano, più de “La Bambola” di Patty Pravo e – ci sta bene anche questa, con il trionfo calcistico nazionale – “Applausi”, dei Camaleonti.

Il  calcio era il sale della vita, il condimento delle pietanze sociali genuine, il sapore buono di una esistenza felice per quei ragazzi che si accingevano con timore agli esami di licenza media. Nessuno strafottente, tutti vestiti abbastanza uguali, con i calzoni corti, che si indossavano il giorno della Liberazione – qualunque fosse la temperatura – e si toglievano il quattro ottobre, giorno di San Francesco, in cui le  scuole chiudevano, nonostante  fossero aperte soltanto dal primo del mese.

E la musica c’era sempre, per i più fortunati con il “mangiadischi”, oppure con le cinquanta lire da inserire nel jukebox. C’era anche per chi frequentava l’oratorio e cominciava a strimpellare qualche strumento messo a disposizione dal parroco. Il decennio che ha reso più felice la nostra giovinezza era già iniziato!



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