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“PROFONDO AZZURRO”. LA NAZIONALE DEL ’74 E LA “RIVOLUZIONE” DI BERNARDINI

Per gli Azzurri, il deludente Mondiale del 1974 sancisce la fine di un’epoca passata attraverso il trionfo del ’68 e la ‘partita del secolo’ del ’70, con la finale dei Mondiali messicani persa contro l’invincibile Brasile.   

Devono necessariamente fare i conti, ora, con un periodo di rinnovamento, dopo i mondiali tedeschi.  Il fallimento aveva indotto la Federazione ad una drastica presa di posizione. Artemio Franchi, il presidente federale, chiama Fulvio Bernardini, sessantotto anni, da sempre critico nei confronti della gestione tecnica precedente. Bernardini occuperà il ruolo di Commissario unico di tutte le Nazionali, coadiuvato da Enzo Bearzot per l’Under 23 e da Azeglio Vicini per l’Under 21, esattamente i due successori sulla panchina azzurra.

Il primo scoglio da superare è la qualificazione agli Europei del ’76. Bernardini programma diverse partite di allenamento, in cui alterna addirittura una sessantina di giocatori. In questo via vai di volti nuovi, abbandonano definitivamente la Nazionale gli ultimi reduci del Mondiale, tra cui Mazzola, Rivera e Riva.

L’Italia finisce in un gruppo insieme ai nuovi astri nascenti del calcio europeo dell’Olanda, quindi con l’ottima Polonia e con  la Finlandia.
L’esordio contro l’Olanda, a Rotterdam, in una serata novembrina. Bernardini forse si illude di aver trovato subito il bandolo della matassa, dopo un primo tempo di alto livello, in cui brilla il debuttante Antognoni, pescato nell’under 23 di Bearzot. L’arbitro russo la pensa diversamente. Prima nega due rigori a Boninsegna, quindi convalida il primo gol di Cruijff – il più grande al mondo dopo Pelè – realizzato in netto fuorigioco. Anche le altre partite di qualificazione dimostrano quanto sia ancora lungo il lavoro di Bernardini. Pareggio contro la Polonia, quindi lo stentato successo sulla Finlandia, con un rigore di Chinaglia,  ripescato tra quelli del Mondiale tedesco.

Si dà più spazio a Bearzot che va in panchina, ma è sempre Bernardini che comanda e lo fa capire apertamente in più di una intervista. Le polemiche non mancano e la Finlandia riesce addirittura a strappare lo zero a zero all’Olimpico nella gara di ritorno. Stesso risultato a Varsavia, contro la Polonia.

Un  solo – inutile – lampo di quella vana corsa, fu il successo contro l’Olanda, con gol di Capello. Indubbiamente un bel risultato, ma che non serve agli Azzurri per carpire la qualificazione,

L’Italia chiude ad un punto dai Tulipani (che passano ai quarti per differenza reti) e dalla Polonia, chiudendo anzitempo la sua esperienza alla rassegna europea.

Come previsto, critiche violentissime un po’ a tutti, soprattutto a Bernardini, che risponde colpo su colpo in una serie di conferenze stampa a tratti spettacolari e a tratti caustiche. Con quel carattere non poteva durare molto, ma la sua opera fu preziosa, perché da quel suo lavoro di ricerca continua usci l’ossatura della Nazionale che con Bearzot fu quarta in Argentina e prima in Spagna. Pochi, per non dire nessuno, ebbero la delicatezza di rivolgergli un grazie.

Bernardini non andò molto d’accordo con Bearzot, di cui non accetterà mai le “intrusioni”, come quella che riguardò proprio Antognoni,  criticato da quello che diventerà poi l’allenatore del Mondiale vinto in Spagna.

 “Fuffo” lo dirà apertamente, ai microfoni di un Galeazzi ancora magrissimo, difendendo il giovane centrocampista della Fiorentina, che diventerà inamovibile nella sua Nazionale, fino a quando, anche a  causa di una salute che lo cominciava ad abbandonare, lasciò il timone azzurro, proprio a Bearzot.

Aveva fatto esordire tanti giocatori: Roggi, Zecchini, Facchetti (nel nuovo ruolo di libero), Caso, Damiani, Antognoni, appunto, Orlandini, Esposito, Pecci, Cordova e tanti altri.

Non fu fortunato, come detto, con il girone dell’Europeo, visto che gli capitarono Olanda e Polonia. Nonostante ciò uscì imbattuto dal doppio confronto con i Polacchi e sconfisse gli Olandesi nella gara di ritorno, dopo aver perso quella di andata soprattutto a causa dell’inesperienza del gruppo e di un arbitraggio più che discutibile.

Non subire neanche  un gol in casa e piazzarsi soltanto un punto dietro alle due “potenze”, non può essere di certo considerato un fallimento. Certo, per le statistiche fu una mancata qualificazione alle fasi finali, ma si trattò, in realtà, di una uscita di scena dignitosa, con Bernardini che aveva accompagnato per mano un intelligente rinnovamento, gettando le basi per una Nazionale più giovane e tatticamente più moderna. Indubbi meriti per un uomo in panchina che non a tutti risultava simpatico. Scorbutico, poco accomandante, senza peli sulla lingua, tutte caratteristiche che nel calcio piacevano a pochi. Al catenaccio preferiva tattiche più offensive, giocatori bravi a toccare il pallone con una certa rapidità di azione.

Come giocatore aveva ricoperto tanti ruoli. Era addirittura partito da portiere, per poi diventare centravanti e infine centrocampista. Sempre con un caratterino niente male: si narra che con qualche suo allenatore sia finita addirittura a schiaffi.   

Fu scelto lui per la panchina azzurra, fu scelto quel maturo signore che aveva fatto grande il Bologna alla metà degli Anni Sessanta, famoso per indossare sempre un cappello alla “Borsalino”.

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