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“DIECI”. I MONDIALI AL BAR …

I Mondiali al bar. Eppoi arrivarono i Mondiali del ‘74, attesi da tutti con una certa dose di ottimismo, anche perché il cammino di avvicinamento alla massima competizione – in programma in Germania – era stato decisamente positivo per l’Italia.

Vittorie contro Svizzera, Turchia e Lussemburgo. Contro quest’ultima, addirittura, una pioggia di gol, grazie all’ineguagliabile poker di Riva nella gara di Genova. Solo una partitaa anonima, quella casalinga con i Turchi, giocata a Napoli. In quell’occasione, però, con molti volti nuovi, quello di Chinaglia, di Agroppi e del tandem di terzini Spinosi-Marchetti, che ebbero poi poche occasioni di giocare insieme in azzurro.

La qualificazione per la Germania, però, non fu mai in discussione e arrivò il momento di piazzarsi tutti davanti alla tv, al solito bar, con i soliti amici, quelli “della frenata”.

Tutti pronti a scattare per il primo gol dell’Italia, ma la delusione arrivò sotto le sembianze dell’esultanza di un attaccante di colore, Sannon, che portò, invece, in vantaggio Haiti, assoluta carneade del mondo del pallone di quegli anni settanta, ma anche dopo. Arrivò poi il pareggio azzurro e l’autogol di un omaccione abbastanza sgraziato, di nome Auguste, prima del tris azzurro, che però lasciò in noi una strana sensazione, di non aver visto quella nazionale brillante delle qualificazioni. Peggio ancora contro l’Argentina, con un pari, ancora con un autogol avversario, che teneva in corsa gli Azzurri, ma che amplificò quella nostra sensazione poco positiva. Neanche l’ingresso in campo di Wilson, beniamino di alcuni di noi, riuscì ad accrescere il tasso di soddisfazione. Tutto rinviato – e tv “calda” – alla gara decisiva con la Polonia, una fortissima Polonia, la migliore di tutti i tempi, con fuoriclasse assoluti e un tridente offensivo, Lato, Deyna e Sharmach, devastante. Fu anche aiutata dall’arbitro. Causio crossò al centro, ma il portiere Tomasewsky mancò il pallone: Anastasi stava per battere a rete, ma venne letteralmente sollevato da dietro, cosa che il direttore di gara lasciò correre. Solo in seguito si comprese che quel girone era un girone di ferro e che essere usciti con una vittoria, un pareggio e una sconfitta, non era una vergogna, come l’eliminazione da parte della Corea di otto anni prima.

L’Italia tornò a casa e si beccò insulti e altro all’aeroporto: Valcareggi terminò la sua esperienza in azzurro e la squadra venne data in mano a Bernardini per la ricostruzione, passando per una marea di giovani, bocciando anche più di un giocatore esperto, ancora valido. 

Italia fuori, ma noi continuammo a stare davanti quella tv del bar fino al termine, alla finale persa da una squadra bellissima come l’Olanda, battuta dai padroni di casa che avevano sofferto molto nel derby con l’altra Germania, quella dell’Est del mitico Sparwasser. Ci stava simpatica la Scozia, eliminata al primo turno senza perdere una partita. Ricordammo a lungo Haiti, paese, allora come oggi, povero ed emarginato, così come povero era lo Zaire che primeggiava, però, in Africa.

Per noi ragazzi che crescevamo, fu una parenesi di serenità, visto che poi cominciammo a vivere, con un minimo di tensione in più, in un’Italia in cui iniziarono anni non facili, anni di piombo, l’assassinio di Aldo Moro, la strage alla stazione di Bologna.

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