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SI GIOCAVA A BASKET OVUNQUE…

Negli anni settanta si giocava ovunque, anche tra appassionati che non erano tesserati, che non disputavano campionati ufficiali. Si giocavano tante partite, rigorosamente su campi in cemento, preferibilmente presso il Villaggio del Fanciullo a Viterbo, uno spazio ameno dove sono cresciute, dopo la nostra, almeno due generazioni di giovani. Uno spazio poi fagocitato dal cemento, un po’ come accadde nel “Ragazzo della Via Gluck”: ora ci sono i palazzi al posto di quell’oasi felice scoperta negli anni settanta.

Partitelle contro chiunque, tornei inventati in cinque minuti, sfide epiche contro i Seminaristi spagnoli, che correvano tanto a pallone e si sapevano difendere anche giocando a pallacanestro. Gente eccezionale, che non si lamentava mai – chissà se per carità cristiana o altro – neanche quando un fallaccio da vecchio stopper, anziché da cestista provato, prendeva gli occhiali del tiratore e li spezzava in due.

Si giocava al campo di Capodimonte, sul lungolago, durante le domeniche trascorse lì con gli amici del bar, quando in quel polo attrattivo balneare – l’unico abbordabile – ci si andava con il motorino. Si giocava successivamente  tra insegnanti dell’Ipsia, si giocava tra amici e colleghi di Radio Etruria: qualsiasi occasione era buona per mettersi in calzoncini e ritrovare l’emozione di tirare ad un canestro.

Si giocava in caserma, a Rieti, all’aeroporto Ciuffelli, dove un maresciallo appassionato di basket e dirigente della Minervini, ti portava qualche volta anche ad allenarti con la sua squadra – giocatori veri, non come noi – ed anche a giocare uno spezzone di amichevole con la Brina Rieti.

In pochi intimi, rari appassionati, a vedere Tele Capodistria, l’unica tv che trasmetteva partite di basket dei campionanti esteri, il sabato pomeriggio. Magari ricordando una delle prime partite viste in tv: riprese in cui si vedeva maluccio, ma bastava e avanzava.

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