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MISSING STORY/1. LA CRONACA DELL’ULTIMA STAGIONE DELLA VITERBESE …

 La stagione 22/23 inizia in una estate torrida, addirittura la più calda di sempre, che ha visto la Viterbese di nuovo spintonata al Sud, in un girone tutt’altro che bello a vedersi e anche difficile da “frequentare” per via delle distanza abissi.

Nel più gradevole girone del Centro Italia, qualche trasferta della squadra gialloblu, in Umbria, in Romagna, a Siena, poteva anche essere trasformata in piacevole gita, magari con tutta la famiglia. Neanche a parlarne, invece, delle trasferte nel profondo meridione, dove una città come Viterbo non dovrebbe mai essere inserita, se davvero vigesse il taglio orizzontale, con parametro indissolubile delle coordinate geografiche, che danno la posizione delle città in gradi, rispetto ai paralleli.

L’estate comincia così, con tanto rammarico in molti, una certo disappunto in me, ma poi alla fine si riparte, sperando di non rivivere una stagione travagliata come la precedente. Troppo brutta per essere vera, troppo brutta per essere replicata. E invece ne è venuta fuori una copia quasi conforme, con gli tessi errori ripetuti e talvolta anche peggiorati. La stagione parte da Canepina, dopo un assurdo preritiro di dieci giorni a Viterbo, con temperature che hanno spesso sfiorato i quaranta gradi, mattina e pomeriggio sul manto erboso ingiallito della Palazzina. Chi ha avallato quegli assurdi dieci giorni da record italiano della calura non poteva essere geniale neanche nella condizione della squadra, che ha mostrato subito grosse lacune tattiche, oltre che tecniche. Ancora una volta la Viterbese parte con il piede sbagliato, con l’allenatore sbagliato, con il mercato sbagliato.

Arbitri. E arrivano subito le sconfitte e con esse il dito puntato verso gli arbitraggi. “Siamo stufi – disse il presidente Romano dopo la sconfitta interna con il Pescara – e la Lega dovrebbe intervenire. Non siamo terra di conquista, non ci stiamo a farci trattare così. Avevamo deciso di non parlarne più, ma basta con i torti arbitrali che subiamo di continuo”.

Come nell’anno precedente, le reiterate proteste non hanno cambiato nulla, neanche di una virgola, delle decisioni arbitrali: sarà davvero questa la strada giusta per arrivare a risolvere il problema?

In effetti il problema non era quello, o meglio non era solo quello. Era soprattutto una squadra costruita male e condotta peggio, con una grande confusione di ruoli e di presunti schemi, di idee e propositi. Si insegue la prima vittoria ed invece arriva un ko dalle dimensioni storiche, contro il Latina.

Delle due tifoserie gemellate fa festa una soltanto, quella pontina, che assiste gioiosa ad una vittoria storica dei propri beniamini. Il bel pomeriggio di sole allo stadio “Rocchi”,  diventa un bel pomeriggio soltanto per gli ospiti, come detto, non certo per la Viterbese, ritrovatasi ben presto alle prese con un pesantissimo passivo non previsto. Una situazione pesante, indubbiamente, che qualcuno ipotizza possa mettere in discussione anche la panchina di Filippi, che finora aveva goduto – incomprensibilmente – della incondizionata fiducia del presidente e dei suoi più stretti collaboratori. Illude la vittoria contro i ragazzini del Tavarnelle in Coppa Italia e quella clamorosa di Monopoli, con cui Filippi salva la panchina che stava per andare a Pochesci. Il problema, però, si ripropone e la panchina di Filippi, dopo due gare alla Palazzina in cui conquista un solo punto, traballa come un barchino nell’oceano.

Romano è intenzionato a esonerare il tecnico, ma si oppone fermamente, minacciando di andarsene anche lui, il diesse Fernandez. Ancora una volta s’invoca l’ultima spiaggia, ancora una volta si dà appuntamento alla gara successiva: stavolta è Taranto, come in un film visto e rivisto, quando si comincia il tira e molla “esonero sì, esonero no”, “concediamo ancora una chance”.

Nove volte su dieci va sempre a finire che arriva l’esonero. E così è accaduto anche per Filippi, persona da più parti definita mite, persona perbene, educata, ma l’allenatore non può essere giudicato per queste – pur encomiabili – qualità umane. L’allenatore deve fare punti e – possibilmente – creare del bel gioco. Sicuramente deve fare scelte coerenti e utili alla causa.   L’ennesimo cambio di panchina procede con l’affidamento temporaneo della squadra a Pesoli, fino a quel momento alla guida di una formazione Primavera ai primi posti del suo campionato. Pesoli mostra coraggio, toglie un paio di intoccabili, inserisce altrettanti ragazzi della Primavera e uno di questi, Spolverini, segna il gol che qualifica la Viterbese ai quarti di finale della Coppa Italia. Prosegue in campionato, fa giocare bene la squadra per un tempo, poi cede al Crotone, oggettivamente più forte. Sembra in grado di poter far bene, fa esordire anche il giovanissimo Giglio, che piace molto alla gente. Poi arriva una incomprensibile involuzione, più che tangibile, che genera una confusione di uomini e di schemi, con i suddetti giovani che finiscono nel dimenticatoio. Arriva il divorzio da Fernardez, il cui  posto viene preso da Magoni, il quale, in un paio di settimane, quelle del mercato invernale, inanella una serie di scelte e comportamenti che aggravano decisamente la situazione. Difende Pesoli, il quale, inopinatamente, continua a stravolgere i reparti, con giocatori fuori ruolo e molti altri palesemente sfiduciati. I pessimi risultati proseguono fino a Natale. C’è anche posto per una amichevole a Trigoria, contro la Roma, all’insegna di quella strana e poco simpatica “moda” delle porte chiuse, anche ai giornalisti. Una modalità, questa, che non ci sembra neanche troppo legittima, visto che il diritto di cronaca, raccontare gli eventi, è sancito pure dalla costituzione.

Cosa abbia combinato, nel frattempo, il portiere Fumagalli non è mai stato dato di sapere. Che in campo eccedesse in proteste era evidente, ma è altrettanto vero che nel poco esaltante girone di andato della Viterbese, Fumagalli era stato il migliore, salvando, peraltro, un discreto numero di gol. Vederlo non più convocato fu un sorpresa per molti, cederlo fu un indebolimento della difesa gialloblù, con Fumagalli subito ben accetto dalle parti di Messina. Lui si toglierà subito lo sfizio di vincere proprio a Viterbo e di pagare una pizza a tutti i suoi nuovi compagni di squadra. Rimarrà uno dei protagonisti della salvezza della squadra siciliana, fino all’ultimo atto, i playout con la Gelbison, quando risulterà assolutamente decisivo.

Mentre Fumagalli partiva, arrivavano giocatori stranieri in numero record, come mai capitato, neanche ai tempi di Sivori, quando si pensò che Viterbo potesse diventare la sponda ideale per molti Sudamericani in Italia.

Anche questo è volto il calcio che cambia, il calcio che mi piace sempre meno, mentre sono sempre più lontani i tempi, ad esempio, della Viterbese di Franzon, che riuscì a far giocare insieme ben otto – su undici – ragazzi provenienti dalle giovanili gialloblù.

Quel diciassette di gennaio.  Dire che quella giornata sia stata movimentata, frenetica, convulsa, è soltanto puro esercizio metaforico. C’è di tutto. C’è il divorzio dal tecnico Pesoli e dal diesse Magoni in una delle giornate più “esplosive” vissute nella sala dei bottoni di via della Palazzina degli ultimi anni.

Il mix infiammabile ha trovato il modo di attivarsi ed è arrivata anche la “separazione consensuale” tra la Viterbese e Magoni, entrati inevitabilmente in rotta di collisione su argomenti importanti come l’allenatore e soprattutto il mercato. Torna in auge Zavaglia, senza incarichi ufficiali e la scelta sul nuovo allenatore ricade su Giovanni Lopez, con cui Romano non si era lasciato affatto bene. Con il tempo avevano smussato gli angoli e più volte l’ex allenatore era andato a trovare Romano nel suo ufficio capitolino. Non ci sono mai piaciuti i cavalli di ritorno – salvo rari casi – ancor meno quando un allenatore era già stato in precedenza esonerato due volte.

Lopez si mette al lavoro, insieme a Musa, che diventa uno dei più giovani direttori sportivi nella storia della Viterbese. Il momento rimane delicatissimo, oltre alla classifica che continua a “piangere”, soprattutto dopo la penalizzazione di due punti. Romano, in conferenza stampa, per la prima volta ammette di aver avvitato tre o quattro trattative per la cessione della società, ma nulla di veramente concreto. Ammette anche di aver sbagliato la scelta di molti allenatori e direttori sportivi, sempre perché mal consigliato da chi giurava sulle qualità dei personaggi prescelti.

Dopo tre sconfitte, arriva la prima vittoria di Lopez – con il contributo interessante di Mastropietro e Jallow, quest’ultimo l’unico a meritarsi considerazione tra quelli arrivarti da un mercato invernale brutto come quello estivo.   

Lopez – contrariamente ai fatti oggettivi – ci crede molto e dichiara che può battersela con chiunque. Qualcuno pensa che stia esagerando, visto l’ultimo posto della classifica, ma arriva il successo sulla capolista Catanzaro, dal curriculum da rullo compressore, che a Viterbo, per la verità, non lo dimostra, nell’unico flop di una stagione trionfale con destinazione serie B.

Sembra esserci stata una svolta nel cammino della Viterbese, ma a Foggia torna la sconfitta, insieme alla precarietà della classifica e la difficoltà di scalare le posizioni dei playout nelle otto restanti partite.

I punti arrivano col  contagocce e la Viterbese lotta per non retrocedere, innanzitutto lotta per evitare l’ultimo posto insieme all’Andria, ma lotta anche per evitare – da quintultima in classifica – un distacco di nove punti, che condanna ugualmente alla serie D. Lopez commette errori, ma, come tutti gli allenatori dell’era moderna, non gradisce, né accetta, le critiche. Obietta sul nostro commento di Crotone per aver fatto uscire anzitempo Rabiu, il giovane nigeriano che diventa all’improvviso il centrocampista più interessante. Il ragazzo non stava bene, secondo il tecnico. Poi, però, nella partita successiva, parte dalla panchina. Forse ancora non sta bene ed invece all’inizio della ripresa viene gettato nella mischia, facendo cambiare il volto della Viterbese ed evitare che la squadra passi per un’altra sconfitta interna, contro il Cerignola.

In quel periodo di grandi timori e altrettante, timide, speranze, mi ha chiamato un ex allenatore della Viterbese di tanti anni fa, che ormai da tempo ha accantonato l’idea di sedere ancora in panchina e che, invece, non prima di aver anche cavalcato il cavallo della politica, si è trasformato in “mental coah”.

Mi ha chiamato chiedendomi di organizzargli un incontro con il presidente Romano, perché lui sarebbe stato intenzionato – a titolo gratuito – a dare una sferzata ai giocatori dal punto di vista motivazionale.

Un po’ seriamente, un po’ con fare guascone, mi aveva detto: “devi dire al presidente che tecnici, giocatori, dirigenti, magazzinieri, guardiano del campo, che devono togliersi la tuta elegante  per mettersi mimetica e l’elmetto. Il calcio non è danza, ma “guerra” sportiva, continua. Io saprei come fare perché anche grossi personaggi nazionali al mio cospetto sono boy scouts”.

Non c’è stato l’incontro, ma una telefonata. La cosa è rimasta lì, evidentemente, anche perché Romano da una parte era immerso dalla difficile situazione della squadra e dall’altra impegnato a qualche trattativa societaria che per la prima volta – dopo mesi e mesi di voci – ha portato alla cessione di due quote minime, del nove virgola nove per cento, di quote societarie, che, di per sé, se non seguite da altre, risolvono davvero poco nel bilancio della proprietà di via della Palazzina.

Giusto per sdrammatizzare un po’, mi è venuto in mente il commendator Borlotti, presidente della Longobarda, nel film “L’allenatore nel pallone”, quando interpretò la divertente caricatura della compravendita dei giocatori in comproprietà, una prassi che in quegli anni si stava diffondendo tra le società di calcio.

Una delle cose rimaste intatte nel calcio rivoluzionato è che il pallone una volta prende e una volta dà. Un dato di fatto inoppugnabile, quanto semplice, che se il presidente Romano avesse acquisito in questa sua avventura viterbese si sarebbe risparmiato, probabilmente, tante amarezze e anche qualche errore. Lo dimostra anche il pomeriggio di Agropoli, il giorno dopo del “pesce d’aprile”, quando il pallone ridà alla Viterbese quanto perso in altre occasioni, anche quando si inneggiò a complotti, a sfortuna nera e quant’altro. In una tappa fondamentale, nella tana di una Gelbison sprecona che getta via la salvezza – che retrocederà tramite i playout – all’ultimo giro di lancette dei cinque minuti di recupero. L’arbitro non è certo ostile alla Viterbese e concede addirittura – come raramente accade – un calcio di rigore al quinto minuto di recupero che magicamente allontana in un colpo solo sia l’ultimo posto della classifica, sia la spada di Damocle dei nove punti dalla quintultima.

Quel rigore, ben realizzato da Marotta, riapre spiragli diversi, ma sarà soltanto il sabato di Pasqua alla Palazzina a poter dire qualcosa di più sull’evoluzione della corsa per evitare la retrocessione.

Uno dei pochi uomini positivi del momento – al di là del fortunoso successo di Agropoli – è Christian Riggio, possente difensore di Crotone, disponibile e gentile in occasione dell’intervista che gli abbiamo fatto alla vigilia della gara con il Monterosi. Serietà e impegno negli allenamenti, poi di corsa a casa, a “spupazzare” Riccardo, il figlioletto nato un mese prima, un piccolissimo “viterbese” di adozione. E dopo la partita serale della vigilia di Pasqua, via, in macchina a farsi settecento chilometri per andare a festeggiare la ricorrenza in famiglia. Probabilmente senza lo spirito dei giorni migliori, perché quel viaggio arriva dopo la cocentissima sconfitta interna contro il Monterosi. Interna per modo di dire, perché la vecchia Palazzina è anche il campo di gioco dei Biancorossi, che lo hanno conosciuto bene per due anni, dando addirittura l’impressione di avere più confidenza dei destinatari storici gialloblù.

La sconfitta è pesante, senza attenuanti, quella di una squadra che rumina soltanto calcio, mentre gli avversari vanno via veloci tante volte. Gente come Carlini, Santoro, Parlati, Vitali e Costantino la Viterbese non li ha, così prigioniera della “filosofia delle figurine” che hanno reso insufficiente più di un mercato, estivo o invernale che fosse. Le luci dello stadio – insieme ai fumogeni della tifoseria gialloblu, sempre accanto ai giocatori, nonostante la pessima stagione – illuminano solo gli errori e gli ossimori e rinviano alla trasferta di Torre del Greco le residue speranze.

Come uovo di Pasqua è stato uno dei più indigesti che si ricordino. E’ la sorpresa? Nessuna, perché era stata già tolta sette giorni prima, il rigore-vittoria di Marotta che ha inguaiato non poco una Gelbison palesemente alla frutta, che ha pensato bene di raddrizzare la barca degli ultimi tre turni ingaggiando Galderisi in panchina, che ha allungato la sua serie di insuccessi con la retrocessione dei Cilentani.

Ho ripensato spesso a come si era chiuso il precedente libro, con quell’ultimo paragrafo. “Sicuramente, a mente fredda, Romano avrà rivisitato la travagliata stagione e dopo la gioia incontenibile avrà potuto trarre vantaggio dagli errori commessi, quelli che hanno generato per mesi la grande paura di veder crollare tutto il progetto-Viterbese, cosa che sarebbe probabilmente accaduta in caso di retrocessione. Un fallimento scongiurato, con quella serie C mantenuta, che Viterbo, come dice Alessandro Ursini, il team manager della gestione-Romano, “si tiene ben stretta!”

Sembrava una cosa scontata, naturale, automatica. Sembrava chiaro a tutti che gli errori che avevano portato la Viterbese sull’orlo della retrocessione non si sarebbero più ripetuti. Troppo evidenti da non prenderli in seria considerazione ed evitare di commetterne di simili.

Ed invece gli errori sono stati commessi a ripetizione, quasi in carta carbone, come si usava una volta per copiare una pagina dattiloscritta, prima dell’avvento della videoscrittura.

Errori di scelte di allenatori – soprattutto quella di non mettere stabilmente in campo D’Uffizi – giocatori, concessione del terreno di gioco, di direttori sportivi e di quant’altro. Tanti errori, ma secondo la Viterbese sono stati gli arbitri gli unici a sbagliare. Arbitri che hanno fatto sì che la Viterbese rimanesse ultima – o penultima – per una intera stagione. Una strategia sbagliata che ha portato a fornire alibi a giocatori e tecnici, i quali, senza queste continue prese di posizioni nei confronti degli errori arbitrali, veri o no, sarebbero forse stati messi di fronte alle proprie responsabilità e avrebbero fatto qualcosa in più per sbagliare di meno, per non continuare a sbagliare.

Una strategia sbagliata perché crea vittimismo, caratteristica che non deve far parte della personalità di una squadra che voglia lottare contro tutto e contro tutti, orgogliosa, nel bene e nel male. E l’orgoglio non fa mai coppia con il vittimismo.

Ci si ritrova a giocarsi la stagione nell’ultima gara interna contro il Francavilla dell’ex Calabro, il cui divorzio dalla Viterbese non fu certo dei più “dolci”.

Si vivono gli ultimi giorni della stagione regolare tra il terrore della retrocessione e la speranza della restituzione dei due punti della penalizzazione, che potrebbero cambiare qualcosa, ma sempre se la combinazione dei risultati della domenica saranno favorevoli alla Viterbese.

Quando l’arbitro Tremolada – sempre lo stesso di Agropoli – fischia l’inizio della gara, le parole – sagge o incaute – non servono più a niente. E’ un pò come essere sulle montagne russe del destino, magari con tratti in cui potrà mancare il fiato. La speranza della Viterbo calcistica è che alla fine della corsa ci sia solo gente sorridente, che magari ha accusato crampi allo stomaco, ma alla fine ha portato a casa “capra e cavoli”.

La seconda stagione travagliata consecutiva finisce come facilmente gli osservatori più accorti avevano previsto molte settimane fa. Finisce in extremis, quasi come in una finalissima in cui tutto può essere possibile, nel bene e nel male. Si, va beh, qualcuno potrebbe dire che ancora esiste il discorso del CONI e dei punti della penalizzazione, ma tutti sanno che contro l’ex Calabro si dovrà contare solo sulle forze dei giocatori in campo e sulle scelte dell’allenatore.

Non mancano contestazioni alla società, mentre il team di via della Palazzina continua a stare in silenzio, proseguendo il silenzio stampa. Poco male – sinceramente – tanto, delle analisi delle partite decisamente non combacianti con la realtà dei fatti, non se sente la mancanza.

Nulla da dire – finalmente – nei confronti di Tremolada, l’arbitro del rigore vincente di Agropoli, che anche nella gara conclusiva contro Calabro tutto fa meno che fischiare contro la Viterbese. Alla Palazzina non è presente il presidente Romano in tribuna, ma non manca qualche striscione di contestazione.

Riggio è sfortunato quando il pallone sbatte sul palo eppoi sul suo piede e finisce in rete per il momentaneo pareggio dei Pugliesi di Francavilla. Peccato per il ragazzo di Crotone, ma il destino aveva già deciso una cosa diversa per i Gialloblù.

Ci pensano in due, i migliori, gli unici che emergono di una spanna dal livello medio della squadra. Potrebbero essere quasi padre e figlio, visto che Marotta va per i trentotto anni e D’Uffizi ne ha all’incirca la metà. Il secondo ispira, taglia il campo per largo e per lungo mettendo in crisi gli avversari, ma è Marotta che fa il gesto vincente, realizzando il gol della vittoria, scagliando sotto la traversa il pallone con una cattiveria che ad altri manca. Per Marotta è anche una rivincita nei confronti dello scetticismo generale nei suoi confronti e anche di quegli allenatore che lo hanno portato spesso in panchina. Va tutto a “pippa di cocco”, con la Viterbese che vince e l’Andria che perde, per cui l’ultimo posto è scongiurato. Va bene anche che non abbia vinto il Messina, ma solo un risultato sfugge alla serie di quelli favorevoli ai Gialloblu, quello del Monterosi che vince ad Avellino, una delle più grandi delusione del campionato, laddove ogni anno gli esperti assegnano velleità da primi posti per poi doversi ricredere in maniera imbarazzante.

(DAL LIBRO “DIECI”)

.continua… 

 

 

 

 

 

 

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