AmarcordIl Pallone

MAZZOLA-RIVERA, LA MADRE DI TUTTE LE STAFFETTE…

DI QUALCHE ANNO FA …    

visto da MAZZOLA 

Come era nata la scelta di Valcareggi in Messico-Italia?

«Dalla mia dissenteria. Era il 14 giugno ’70: dovevamo giocare a mezzogiorno i quarti ad eliminazione diretta contro il Messico padrone di casa, a Toluca, 2.668 metri di altitudine. Nella notte che precede la gara, leggo «Papillon» sul letto, ma stranamente ho sonno. Mi addormento alle 11, cosa che non mi capitava mai prima delle partite, teso e inquieto com’ero. All’una mi sveglio. Montezuma aveva colpito. Una notte d’inferno, con Puja, il mio compagno di stanza, che dopo un’ora mi dice: qui non si dorme, almeno giochiamo a carte. Al mattino, vado dal medico, il dottor Fini. Gli spiego che sono stato male, lui riferisce a Valcareggi. Il c.t. mi chiama e mi dice: ce la fai a giocare almeno il primo tempo? Poi ti cambio. Accetto. Gioco, andiamo al riposo sull’1-1, entra Rivera. Alla fine, l’Italia vince 4-1».

Un bel gesto per chiudere la staffetta. E poi che cosa è accaduto?

«Poi è venuta la partita del 17 ottobre con la Svizzera; Rivera, dopo aver saputo che avrei giocato io e non lui, denunciò un infortunio e se ne tornò a casa. Firmai il gol dell’1-1, quello dei sette palleggi, a 5’ dalla fine. Ma in Austria, il 31 ottobre, quella dell’infortunio di Riva, siamo andati in campo insieme. E abbiamo vinto».

Per voi è stata una vita complicata in nazionale. Lei e Rivera avete smesso insieme: 23 giugno ’74, Polonia-Italia 2-1. Un caso o un segno del destino?

«Un segno del destino. L’arrivo di Bernardini, dopo Valcareggi, aveva aperto un’altra storia: un nuovo ciclo, nuovi giocatori. In azzurro non abbiamo mai avuto vita facile. Io ero stato costretto a giocare anche ala destra, con il 7, ruolo che nel ’73 non ho più accettato. Giocavo all’ala quando mi allenava Meazza nei ragazzi dell’Inter, ma toccavo pochi palloni. E mi sono spostato al centro. E’ stato Herrera a farmi giocare in attacco. E all’ala mi sentivo fuori ruolo».

Vivere di ricordi o vivere con i ricordi?

«I ricordi sono belli, ma non mi sento prigioniero della nostalgia. Ho fatto anche altro, dopo aver giocato a calcio e guardo sempre al futuro. Poi può esserci un’immagine, una fotografia, un filmato, che mi riporta indietro negli anni. Un po’ di nostalgia c’è. Senza esagerare».

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visto da RIVERA  

Mazzola-Rivera, Rivera-Mazzola. Al di là delle leggende metropolitane, quali sono stati i vostri reali rapporti?

«Ottimi. Sia prima che dopo quel Mondiale abbiamo sempre giocato assieme, com’era logico che fosse. Come giocatori eravamo così diversi che potevamo tranquillamente coesistere».

La rivalità Rivera-Mazzola sarebbe proponibile nel calcio di oggi?

«Non credo. Oggi i giocatori del Milan e quelli dell’Inter si frequentano, allora non si poteva. Fuori dalla nazionale ognuno viveva nel suo mondo. Ma con Mazzola i rapporti sono sempre stati buoni. Eravamo d’accordo su molte cose, assieme siamo stati tra i fondatori del sindacato calciatori. A parte i colori diversi alla domenica, vedevamo il pallone alla stessa maniera».

Rivera, quanto le è pesata l’etichetta di abatino che Gianni Brera le aveva incollato addosso?

«Non me ne sono mai preoccupato. Che non avessi un fisico da Maciste era innegabile».

Approfittando di questa intervista può svelarci i veri motivi della sua emarginazione dal Milan di Berlusconi?

«Semplice. Lui si è contornato delle persone con cui aveva i rapporti più stretti da sempre. Io lo conoscevo, ma non in maniera approfondita. Diciamo che ha creato la situazione perché io me ne andassi ma non mi ha mandato via dal Milan. Evidentemente non se la sentiva».

Ma lei era Gianni Rivera.

«Per lui la storia del Milan comincia con il suo ingresso in società. Una volta siamo andati da Vespa in occasione dei 50 anni di “Tutto il calcio minuto per minuto”. Si è parlato soltanto delle vittorie del Milan di Berlusconi. Di quello che era successo prima, niente».

Però Berlusconi ha vinto davvero tanto.

«Per incominciare dalla terza Coppa bisogna che qualcuno abbia vinto le prime due. Che poi erano quattro perché c’erano anche le Coppe delle Coppe».

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