AmarcordIl Pallone

IL PALLONE RACCONTATO DA CHI LO SAPEVA RACCONTARE …

Al calcio di internet – e ai suoi fruitori – manca il tempo di poter coltivare la memoria, di far sedimentare il ricordo. Oggi tutto deve essere fast. Siamo passati dalla “Zona Cesarini” al “McDonald’s” del pallone, un frullatore continuo di partite ovviamente tutte marchiate come sfide definitive, ad alto contenuto spettacolare, ultime spiagge.

Inutile dire che il fenomeno internet ha portato, nelle vite delle famiglie – e in particolare, in quelle dei più giovani – una vera e propria rivoluzione. Con l’evoluzione rapidissima della tecnologia, però, il rapporto con essa è mutato in maniera radicale, I  ragazzi hanno molti più mezzi a disposizione, rispetto ai loro genitori e ai loro nonni, quelli di “scusa Ameri…”.

Bastano queste due parole, infatti, per evocare un’epoca lunga sessanta anni, che non c’è più, ma che rimane viva. Così come “ItaliaGermaniaquattroatre” o “campioni del mondo” ripetuto tre volte da Martellini ai Mondiali di Spagna ’82. Era il racconto che diventava immagine, a cui tutti davano credito, non cercavano di sovrapporsi, inventandosi omologhi, solo perché potevano digitare su una tastiera o una tastierina. Rimangono cose vissute sul filo dell’etere, diventate pezzi di storia. “Tutto il calcio minuto per minuto”, quello ascoltato con la radiolina a pile, ad esempio, scandiva totalmente i tempi della domenica pomeriggio, quando non c’erano calcio “spezzatino”, posticipi, anticipi, dirette social. Chi voleva vedere “riflessi“ – prima che diventassero “higlits” – della partita principale doveva aspettare le ore diciotto, sperando che qualche amico già informato non gli sciupasse il gusto di quel secondo tempo in differita.  Guglielmo Moretti aveva preso in prestito l’idea di “Tutto il calcio” dalla Francia, anche se lì primeggiava il rugby. Insieme a  Sergio Zavoli e Roberto Bortoluzzi, Moretti, diede vita a quella perfetta “creatura” che mosse i primi passi addirittura tra lo scetticismo generale. Nessuno poteva immaginare che, invece, sarebbe diventato uno dei più grandi successi mediatici di tutti i tempi. Quella prima volta del ’60 “scesero in campo”: a Milano Nicolò Carosio per Milan-Juve, a Bologna Enrico Ameri per Bologna-Napoli, ad Alessandria Andrea Boscione per Alessandria-Padova. Da loro agli attuali  Scaramozzino e Repice è volata l’evoluzione – in alcuni casi anche il deperimento – di almeno tre generazioni, sempre con la stessa sigla, riconoscibile da tutti.  Un po’ come la sigla di “Novantesimo minuto”, altrettanto insostituibile e attuale ancora oggi. Erano i tempi in cui il calcio era una narrazione, destinata a passare dalle radio alla tv, anche se la diretta televisiva era solo nei sogni di qualche “visionario”. 

Spenta la radiolina, come detto, si rimaneva in attesa dei gol da vedere. Il racconto radiofonico si trasformava in immagine, quella delle reti segnate, magari già anticipati con la fantasia.

Attorno alle ore diciotto partiva la sigla, quella con la stadio che si riempiva rapidamente, a velocità decuplicata. Appariva Paolo Valenti, tanto garbo e professionalità, un lieve sorriso sul volto e l’ironia – appena percepibile – di chi si occupa di qualcosa presa sul serio, ma anche di un gioco. I collegamenti erano quelli di un’Italia dei campanili, della gestualità, degli accenti, quasi come maschere della commedia dell’arte. Diventavano espressione di una città le facce degli inviati: Genova di Bubba Genova, Napoli di Necco, Firenze di Giannini, Bari di Strippoli, Torino di Castellotti. Difficile far capire all’ultima generazione, quella del calcio di internet, quanto succedeva allora, quando, ad esempio, nell’intervallo RAI, tra un programma e l’altro, andavano in onda delle pecore al pascolo. Eppoi più tardi, quando non c’era ancora internet e solo da poco aveva visto la luce il telefono cellulare, l’oggetto – come detto – che ha trasformato la società vivente e, di conseguenza, anche il mondo del pallone.  Anche il mondo di Gianfranco De Laurentiis, altro storico volto del giornalismo sportivo sulle reti Rai, apprezzato per la sua professionalità e per la serietà, requisiti essenziali per un comunicatore, requisiti sempre più rari nel calcio commentato del mondo del web. Era stato un precursore dei tempi, quando la televisione era l’unica evoluzione della carta stampata, quando creò una trasmissione come Eurogol, che conduceva insieme  a Bruno Martino, quanto di più innovativo si potesse vedere in quegli anni Ottanta. Aveva iniziato con  il settimanale Tribuna Illustrata, nelle rubriche di costume e spettacolo, prima di essere assunto alla Rai. A metà degli anni settanta, con l’avvento del Tg2, entrò nella redazione e si susseguirono – per lui – trasmissioni come Domenica Sprint, Dribbling  e Domenica sportiva.

Raccontava il calcio e osservava i bambini, quelli che sarebbero diventati la generazione di internet, che giocavano a pallone nel cortile con il “Superantos”, il parente nobile del Supertele, il più basico di tutti, che, se tiravi forte, cambiava direzione. 

(DAL LIBRO “IL PALLONE AL TEMPO DI INTERNET”)

error: Content is protected !!